I cancellati by Miha Mazzini

I cancellati by Miha Mazzini

autore:Miha Mazzini [Mazzini, Miha]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Miha Mazzini; I cancellati; Est Europa; Balcani; Ex Jugoslavia; guerra ex Jugoslavia; Lubiana; Slovenia
editore: Bottega Errante Edizioni
pubblicato: 2018-06-07T13:02:03+00:00


*

Stava seduta sulla panchina, in attesa. Seguiva con lo sguardo due studenti che avanzavano barcollando, più a causa delle cartelle pesanti che per gli urti che si davano l’uno con l’altro. Una giovane mamma spingeva la carrozzina verso il condominio e Zala avrebbe voluto tenere gli occhi fissi sulle proprie scarpe, ma non ci riusciva. Vedeva tutto: la donna aveva suonato un campanello e un giovane in tuta era accorso alla porta, aveva preso il passeggino; lei aveva sollevato il bambino, l’aveva baciato sulle guance, il piccolo aveva iniziato a piangere, lei gli aveva detto qualcosa, erano entrati nel palazzo, l’uomo li aveva seguiti con il passeggino.

Percepiva già nel petto la pressione che esercitava sullo schienale della panchina, si voltò e si raddrizzò. Con la coda dell’occhio vide il suo vecchio passare, un po’ ingobbito, come se a ogni passo cercasse di godere dell’aria che aveva davanti a sé.

Lei guardò verso il campo di basket, le due mocciose tornarono a passarci accanto ridacchiando. I ragazzi accelerarono subito il ritmo, smisero di passarsi la palla, tutti si impegnarono in azioni solitarie e in tiri audaci da lontano.

«Che cosa fai tu qui?» gridò la voce maschile in serbo. Zala fece un salto e prese a balbettare. Si guardò attorno, la voce doveva essere quella di suo padre, l’aveva riconosciuta, ma era come se fuoriuscisse da un guscio, c’era qualcosa di diverso in essa.

Non c’era nessun altro tranne lui, che le era passato accanto poco prima.

«Papà?» disse alzandosi e facendo qualche passo.

«Eh? Ti ho chiesto qualcosa?!» gridò, e lei pensò: “Parla a malapena”.

Il naso sporgeva dalla pelle che premeva sul cranio, l’ossatura continuava a mantenere la sua ampiezza e altezza, solo che su di essa non rimaneva molto. I vestiti non si erano rimpiccioliti e il suo corpo quasi si perdeva in essi.

«Papà?» ripeté, e gli si avvicinò.

«Hai bisogno di soldi, eh?».

Gli si fermò davanti, lui gracchiò da quello che rimaneva del suo corpo, uno sbraitare a metà che arrivava non più lontano di qualche metro. Era fuori di sé perché non voleva vedersi nel volto di lei. Aveva paura di ciò che avrebbe scorto nei suoi occhi: compassione.

«Come stai?» chiese Zala.

«Questo fottuto vento ti ha scorticato la pelle e ti sei ricordata del tuo vecchio?».

«Sei malato».

«Questo me l’hai sempre detto. Dimmi qualcosa di nuovo!».

«Che fesserie! Sei la metà di quello che eri. Cos’hai?».

«Che te ne frega. Se vuoi saperlo, ecco: mi sto disgregando, come la Jugoslavia».

Zala ricordava tutti i nemici che suo padre aveva aspettato per tutta la vita. Russi, americani, italiani e tedeschi, persino albanesi e bulgari, guardava con sospetto anche gli Stati africani che Tito aveva iniziato a visitare, l’unica consolazione era che fossero distanti. Alle manovre si chiamavano sempre “blu”, e i “rossi” li sconfiggevano. Suo padre festeggiava, come se non fosse stata tutta una messinscena. Le manovre erano per lui una cosa giusta, perché amava l’ordine. Zala sospettava che la guerra fosse molto più caotica e che al padre probabilmente non sarebbe piaciuta per niente, anche se di se stesso diceva di essere un soldato nel cuore.



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